Perché servono 5 minuti per riuscire a svegliarsi
Vi è mai capitato di svegliarvi la mattina ed avere la sensazione che il vostro cervello non riesca a connettersi subito? Scommetto di sì. Ebbene, non è solo una nostra sensazione: la scienza rivela che una parte del nostro cervello si sveglia 5minuti più tardi rispetto alle altre.
Molti di noi hanno pensato per una vita di avere un brutto rapporto con il risveglio, di essere più “rallentati” nei primi istanti in cui aprono gli occhi. A quanto pare il nostro cervello è diviso in due sezioni che hanno tempi leggermente diversi per quanto riguarda l’addormentarsi e il risvegliarsi. Chiaramente non è possibile accorgersi di ciò mentre ci addormentiamo, mentre è molto più facile avvertire un senso di stordimento quando ci svegliamo.
Possiamo provare con le sveglie più rumorose e fantasiose possibili, con la radiosveglia o della musica a volume alto, ma in realtà la soluzione è solo una: dare al cervello il tempo necessario per riprendersi.
Il nostro cervello: 5 minuti avanti, 5 minuti indietro
In pratica, lo sapevamo già: svegliandoci ogni mattina senza riuscire a emettere frasi compiute. In teoria, la conferma arriva da uno studio italiano del Dipartimento di Psicologia della Sapienza e dell’Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca (AFaR) in collaborazione con studiosi dell’Università dell’Aquila e Bologna, pubblicato su Neuroscience: durante il riposo il cervello diminuisce la sua attività elettrica ed entra nello stato chiamato di “inerzia del sonno”.
I ricercatori hanno spiegato che è come se le diverse parti del cervello si addormentassero e si svegliassero in tempi diversi, per cui, quella posteriore ci metterebbe di più a carburare, ben cinque minuti. Ecco perché si fa fatica a “connettere” appena svegli.
No alle sveglie “traumatiche”
Inutile utilizzare rimedi strong con l’obiettivo di alzarsi ed essere immediatamente attivi come mettere la sveglia a volume elevato o con un suono d’impatto (il famoso “drin, drin”), perché l’organismo si mette in uno stato di allarme e secerne adrenalina, che provoca ipertensione e tachicardia e alla lunga fa male al cuore.
Lo rivela un altro studio giapponese dei ricercatori del National Institute of Industrial Health, che hanno testato un gruppo di 100 volontari tra i 25 e i 60 anni verificando che quelli che venivano tirati giù dal letto dal fatidico trillo presentavano valori più alti di pressione sanguigna e battiti cardiaci più accelerati rispetto al gruppo che si era svegliato in modo naturale. Inoltre, una sveglia di questo tipo ha lo stesso effetto di una sbornia che, per lo più, dura solo 10 minuti, ma per alcuni arriva fino a due ore. Neppure in questo modo si ottiene, quindi, un risveglio più veloce, anzi, ha l’effetto contrario.
Cosa fare? Aspettare cinque minuti!
Il consiglio degli esperti è così semplice da sembrare quasi banale. Aspettare quei fatidici cinque minuti prima di alzarsi dal letto, senza dedicarsi immediatamente ad attività impegnative.
E per la sveglia? Utilizzare suonerie soft o la musica della radio abolendo assolutamente il trillo. Il tutto a un volume piuttosto basso, tale da sentirlo, ma senza “traumi”.
E se serve essere immediatamente operativi? La scoperta italiana effettivamente presenta prospettive potenzialmente applicative per tutte quelle professioni che richiedono una rapida operatività, dai vigili del fuoco agli operatori di pronto soccorso fino ai militari. Secondo il coordinatore della ricerca Luigi De Gennaro, infatti, si potrebbe immaginare un sistema di sensori elettroencefalografici (EEG) che determini nelle singole regioni cerebrali il livello critico per garantire adeguate prestazioni. Le attuali tecnologie consentono ormai di miniaturizzare i tradizionali EEG, garantendo una scarsa intrusività di questi strumenti, così da renderli compatibili con lo svolgimento delle singole attività professionali.