Donne e cancro: scarsa informazione sulla conservazione ovocitaria

Arianna Preciballe
  • Appassionata di Gossip e Tv
  • Laureata presso il NID - Nuovo Istituto Design
26/03/2021

Ogni anno in Italia, 9410 donne si ammalano di tumore e rischiano l’infertilità a causa delle terapie antitumorali. Ma tra queste, circa 2400 sotto i 40 anni potrebbero proteggere la propria fertilità futura e sperare in una gravidanza dopo la guarigione.

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Il cancro non deve per forza fermare la gravidanza. Nei casi di cancro alla mammella, infatti, grazie alla diagnosi precoce e all’efficacia delle terapie antitumorali la sopravvivenza a 5 anni è dell’85%.

Un dato importante che mette in luce la possibilità concreta di sostenere una gravidanza anche dopo la malattia grazie alla tecnica di conservazione dei propri ovociti (cellule uovo).

Possibilità ribadita anche dalle maggiori società scientifiche internazionali (ASCO, Società Americana di Oncologia, e ASRM, Società Americana di Medicina della Riproduzione) ma ancora poco nota e poco presa in considerazione tra gli oncologi e gli stessi ginecologi.

Crioconservazione degli ovuli: come funziona in Italia?

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Per la legge italiana il congelamento degli ovociti come strategia di conservazione della fertilità per le pazienti affette da tumore non rientra nella Legge 40/2004 sulle Tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita.

Chi desidera quindi ricorrere alla crioconservazione degli ovociti per garantirsi la possibilità di una gravidanza futura può farlo solo a spese proprie.

E proprio il deficit di informazione a riguardo ha tenuto banco durante il recente convegno “Preservazione della fertilità femminile” organizzato da G.en.e.ra. dei Centri di Medicina della Riproduzione.

“È normale che di fronte ad una diagnosi di tumore la priorità sia quella di combattere la malattia con tutte le risorse possibili ma di garantire la fertilità futura di queste donne non si parla ancora abbastanza”.

spiega il Dottor Filippo Maria Ubaldi, Ginecologo e Direttore clinico dei Centri.

“Nelle donne che iniziano una chemioterapia a 39-40 anni il rischio di andare definitivamente in menopausa raggiuge il 90%, mentre sotto i 35 anni questo rischio diminuisce al 25-30%. La conservazione degli ovociti è una forma di prevenzione efficace che andrebbe sempre prospettata alle pazienti, soprattutto per le giovanissime, che non hanno avuto il tempo di pensare ad un progetto genitoriale, senza condannarle alla sterilità e quindi a scelte obbligate, sia pure nobilissime, come l’ovodonazione, l’adozione o la rinuncia a diventare madri”.

conclude lo specialista.