Il bambino piange: vero disagio o semplice capriccio?
Come distinguere quando il bambino vuole esprimere un vero disagio da quando sta semplicemente facendo i capricci? E come placarlo? Qualsiasi genitore si trova a porsi, prima o poi, queste domande. Proviamo a risolvere insieme il quesito che affligge tutti i genitori del mondo.
Articolo realizzato da Giorgia Martino
Con la consulenza del Dottor Arturo Mona, Psicologo e Psicoterapeuta ad orientamento strategico a Roma.
Si fa presto a dire ‘capriccio’. Eppure non è così semplice definire il motivo per cui un bambino decide di ‘sbattere i piedi per terra’. Un genitore, di fronte a queste crisi, si sente in difficoltà, mette in dubbio la propria capacità educativa, e spesso prende l’inquietudine del proprio figlio come un vero e proprio attacco personale, quasi fosse una sfida.
Ebbene, è proprio questo che non deve accadere, perché in realtà un capriccio può non essere sempre tale, e può nascondere anche disagi più profondi.
Che cos’è un “capriccio”?
Il capriccio è un comportamento emotivo esasperato, caratterizzato da crisi di pianto e tipicamente ‘teatrali’: in questo modo il bambino vuole ottenere ciò che desidera puntando sulla sua disperazione. Per stabilire però con certezza se il suo intento è sempre di tipo “manipolativo”, bisogna tener conto dell’età e delle diverse situazioni.
C’è capriccio e capriccio! In alcuni casi, il pianto del bambino potrebbe non essere una semplice presa di posizione, bensì mascherare un tentativo di comunicare qualcosa. Specie in queste 3 comuni situazioni:
1. Quando i bambini sono molto piccoli
Se un bambino di 8 mesi piange perché vuole stare in braccio, potrebbe celare uno stato di disagio.
“Un bambino molto piccolo a cui non viene prestata attenzione quando piange, per convinzione che si tratti di un capriccio, sperimenta dei livelli di ansia e di sfiducia molto alti, e impara che nessuno è disposto ad aiutarlo quando ha bisogno”
È bene ricordare che, in bambini con meno di 2 anni, il pianto è sempre un mezzo per comunicare, ed è meglio cercare di rassicurarlo con dolcezza, trasmettendogli sicurezza.
2. Carenze affettive o situazioni traumatiche
Nei bimbi più grandi, i capricci possono nascondere una vera e propria richiesta di attenzione, o essere utilizzati per sfogare la propria angoscia, come nel caso di situazioni traumatiche che non sempre i bambini sono in grado di riconoscere, né di esprimere, ma che comunque sperimentano.
È anche da valutare quando il ‘capriccio’ assume il ruolo di “compensazione interna” per ottenere cose che vanno a placare una carenza affettiva.
Un piccolo trauma molto comune è, ad esempio, il passaggio scolastico dalle elementari alle medie: in questo caso il bambino non ha più gli stessi amichetti di classe, i professori sono diversi, e può reagire a questo periodo di transizione intensificando i suoi capricci.
Il consiglio? Non prendere sottogamba le sue reazioni classificandole indistintamente come semplici capricci, ma cercare di risolvere il problema dall’origine. In questo specifico caso, si potrebbe aiutare il bambino a creare situazioni di gioco e incontro con i nuovi compagni di scuola, o si potrebbe andare a parlare con i professori se si teme che il piccolo non vada d’accordo con qualche insegnante.
3. Se il genitore è stressato
E se tutto partisse dal genitore? Un approfondito esame di coscienza sarà utile a stabilire se è il bambino ad essere preda dell’esagerazione o, piuttosto, non siano mamma e papà ad avere addosso un grado di stanchezza tale da abbassare la soglia di sopportazione rispetto alle sue richieste.